SARA BELTRAME
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Erano le 15.45

6/29/2014

2 Comments

 
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L'albero. Picture by Me.
Scoppio.
Ho talmente tante cose da scrivere che non so da dove cominciare. So che sta tutto qui dentro ma non so come tirarlo fuori. Non so quale voce scegliere e cosí rimango muta. 
Mi piacerebbe imparare a scrivere. Un giorno, mi dico, lo faró. Un giorno impareró. 
Prima o poi mi metteró davanti al computer e avró la forza di farlo: scrivere. 
M'immagino tirare giú tutto d'un fiato il caos che c'ho dentro, proprio come fanno i geni, e di vederlo ben ordinato in una storia che si srotola riga dopo riga, pausata dalle virgole e dai punti, al momento giusto. 
E mentre non riesco a fare tutto questo, quello che mi rimane è fotografare.
Metti oggi per esempio.
Oggi c'era un cielo che m'ha rotto gli occhi giá di prima mattina tanto era blu. 
Le piante chiedevano da bere. Ho dovuto per forza prendere la pompa dell'acqua e dissetarle. La gatta che faceva gli equilibrismi tra una macchia d'acqua e l'altra, il vento che tirava in su l'asciugamano del mare e i grani di sabbia che ne risultavano: tutte cose che non si possono fotografare ma che neanche a raccontarle mi sento bene. Nessuno dei due gesti è sufficiente per descrivere la quantità di bellezza che c'è stata in quei pochi metri quadrati di tempo. 
Allora mi son messa seduta a sorseggiare il mio caffé e ad ascoltare i fischi delle rondini, cosa che faccio ogni mattina perché è un gesto che amo oltre modo. E' la mia piccola maniera di rendere un omaggio profondo alla Natura che s'affaccia sui palazzi e sul cemento.
"Quando se ne andranno le rondini mi faró triste. E quando ritorneranno saró felice. E quando se ne andranno triste. E quando ritorneranno felice..." e cosi vado avanti mentre loro girano in cerchio sopra la mia testa, a pensare a me triste-me felice-loro che vanno- loro che tornano-le stagioni che cambiano-il tempo che passa-la vita etc etc... 
Su oggi potrei scrivere pagine e pagine di storia e nessuno saprá mai se quello che dico è la veritá. Solo io lo sapró e questo è il bello, il bello che devo ancora iniziare a raccontare.
Oggi, con tutta questa bellezza mattutina caricata fin dalle prime ore sulle mie spalle, me ne andavo ad un certo punto del giorno sciabattando per la strada dove vivo, come se fosse il corridoio di casa mia, con le mani in tasca, il cuore ben aperto, lo sguardo in alto, a caccia di cibo. Ero affamata. Erano le tre passate del pomeriggio e avevo trascorso tutta la giornata a fare il cambio dell'armadio che per me è sempre un provare e riprovare davanti allo specchio cose che mi dico: Si si, questo me lo metto e poi so che non metteró mai. 
Non avevo voglia di cucinare a quell'ora tarda.
Ero a caccia di cibo sciabattando per la mia strada quando ho deciso finalmente di attraversarla. 
Mi era rimasta addosso una magliettina da niente che non riesco mai a buttare via, una roba tipo coperta di Linus che mi trascino durante gli anni. Orribile, mi dico, ma che a me piace proprio tanto con quel suo cotoncino tutto consumato. Una maglietta da pirata, grigio topo, slabbrata, che mi dá un'aria totalmente "okupa", molto poco femminile, che cerco di stemperare con il rimmel, un poco di kajal ed un paio di orecchini lunghi.
Sono entrata in una pizzeria da asporto. 
Non è "una" pizzeria da asporto. 
E'"la" pizzeria d'asporto. 
Quella dove vado quando non ho voglia di cucinare e so che li fanno una cosa buonissima, croccantissima, totalmente vegetariana che mi riempirá per il resto della giornata, per il modico prezzo di tre euro e cinquanta.
A fare questa cosa buonissima sono o un italiano o un argentino. 
Dipende dall'ora in cui capiti. 
A me piace l'argentino perchè ha un paio d'occhi verdi bosco da perdere il sentiero, proprio. Tutto quello che dice l'italiano l'ho giá sentito in bocca a qualche altro maschio italiano e pure quando sta zitto mi pare di averlo giá sentito.
L'argentino invece, canta sempre cose che suonano a sorpresa. Mi lascia a bocca aperta mentre sgranocchio e bevo coca. 
Mi fa pensare: Ma guarda te questo qui, che fa le pizze e la filosofia.

C'era qualcosa nell'aria mentre tirava dentro il forno il mio pranzo e anche poi dopo, quando ha iniziato a condirlo con l'olio d'oliva, c'era qualcosa di estremamente inenarrabile. 
"Mangi qui?"
Io non ci penso e dico di sí e poi penso che non ci ho pensato e ho detto sí. E poi sto zitta. Poi iniziamo a parlare. E parliamo per un bel pezzo. 
E quando finisco gli dico che Ok, devo andare e gli chiedo:
"Quant'è?"
E lui mi dice:
"Niente. Offro io. Abbiamo avuto una conversazione tan linda.", mi dice.
Ed esce dal bancone, dove sto io. 
E non rimane proprio più niente di lui. 
Lui non è piú il suo lavoro, non le mille pizze, non la filosofia, non un paio d'occhi verdi e  io non sono quella che compra, non quella con la magliettina grigio-topo, non la ciabattona medio-hippie che alza gli occhi al cielo e dice Oh!, eppure ci siamo noi, in quello spazio, in quel tempo. 
Io e lui, voglio dire. Proprio noi due.
E gli dico:
"Grazie." E m'infilo i tre euro e cinquanta nelle tasche e lo guardo sorridendo e allora mi sento di aver voglia di dargli due baci in amicizia perchè anche io ho avuto una conversazione tan linda con lui. Voglio ricambiare. Mi sento felice.
E il primo bacio sulla guancia: tutto bene. 
Ma con l'arrivare del secondo stiamo giá scrivendo un'altra storia perchè quel secondo sulla guancia non arriva mai. Perché quel secondo bacio ha subíto una mutazione genetica, darwiniana e noi, insieme, abbiamo concesso alla vita di dare il suo colpo di coda. 
Secco, fermo, perfetto, inaspettato. 

Erano le tre e quarantacinque di un caldo pomeriggio di inizio luglio.






2 Comments
Martino
8/21/2014 07:43:20 pm

E difficile commentare la bellezza. A volte, come in questo caso, il miglior commento è la silenziosa contemplazione...

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Me
8/26/2014 09:25:22 pm

e la silenziosa condivisione <3 Grazie Martino

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